Sei inediti di Fabrizio Bajec

La pioggia a Tepoztlan 

Umido il mattino in terrazza in un hotel senza nome
mastichiamo tartine di zucca messe a bagno nel caffè avaro
ammirando un albero dai frutti arancioni
che colano sull’erba e la montagna troneggia lontano
sormontata da esili nubi come polvere di vulcano
Più in basso qualche cane si lamenta delle donne indaffarate
che lavano in ginocchio il suolo delle camere e fanno salire
una fragranza di limone come noi vorremmo arrampicarci
sulla collina dove si recano i paesani
col lanternino la notte dei morti
Passeremo invece fra i tumuli
sfidando le nebbie attenti ai nostri passi
così sul pavimento delle chiese
cosparso di rose d’India e lumini

*

andiamo a consultare gli uccelli della Crucecita
il cui canto è assai diverso dai nostri passerotti europei
andiamo a sederci intorno al piccolo chiosco
e al fiotto della fontana preferiamo le loro voci curiose
poiché ciascuna si sposa a un colore diverso
per il lattante che le indovina
andiamo ad assaggiare un caffè artigianale
alla Casa Mayor rifugio di surfisti americani
alle prese con le loro memorie
andiamo anche noi a comprare un quaderno in cuoio
con l’idea di lasciarvi qualche magro segno
in onore del sole e del mare aperto
andiamo a studiare il mamey con la punta della lingua
così una vecchia iguana immobile intuisce
ma non può misurare la sua fortuna

*

perché la poesia è solo quella degli antichi
per una lettrice affamata e sotto giuramento
e gli antichi sono vivi e i vivi nati morti
d’accordo ogni tentativo sarà vano per noi poveretti
mai sprovvisti di mezzi ma quale spirito ci guida
signora la prego gentilmente di illuminarmi
quali sono le possibilità della musica moderna
bisogna forse cantare scomporre costruire o tritare
il suo sorriso malinconico la dice lunga
sulla nozione di progresso gli schermi ci rovinano
«dia invece uno sguardo a Quévedo Borges e Juan Ramón»
ma insomma signora che gran miscuglio sta facendo
«lo so ma rimango convinta che loro hanno ragione
si allineano per mezzo di un misterioso movimento
davanti alla torre del castello che Lorca ha decritto
e uguali ai corvi prendono il volo in quella direzione
per circoscriverla gettando uno sguardo avido al suo interno

*

lasciarsi rotolare e rapire dall’onda
avanti e indietro alla maniera di un ramo
una pietra o un osso emerso dal fondo dell’acqua
un modo di esistere galleggiando per puro piacere
così prossimo alla riva dove si raggiunge l’uguaglianza
se la sabbia livella tutto col suo morbido pettine
e guardiamo l’aquila roteare nel cielo azzurro
guardiana di una verginità naturale
mentre un uomo brandisce il trofeo del giorno
un pesce argentato che ricusa la morte
e mischia il suo sangue tra convulsioni violente
a quello del pescatore incompetente

*

il nome del villaggio è Sangre de Cristo
una corona di spine lo attraversa da un punto all’altro
e grava sugli uomini e su alcuni cani randagi
il Cristo appare sopra i muri delle abitazioni
in rosso e nero pesanti campane tuonano lontane
non quelle della minuscola cappella color limone
si dice che a Sangre de Cristo i bambini saranno minatori
che andranno ad ingrossare le fila degli sfruttati
nelle alture di Guanajuato
per conto dei canadesi
che estraggono il quarzo e il platino
il minatore ha un suo monumento e un giorno festivo
ma risale a piedi la valle del diavolo
con gli occhi stravolti e un volantino in mano
sapendo che il suo sindacato non lo salverà
gli artigiani salveranno il Messico
gli artigiani andranno in paradiso
essendo i soli ad arginare
la colata di cemento americano
ingannarono la Chiesa a colpi di idoli
gloria agli artigiani indiani
che conobbero la passione meno il Cristo

*

hanno retribuito la gente e profanato
le loro tombe famigliari
per esibire corpi sapientemente conservati
da tutti i giacimenti  minerali
che abbondano nella regione
ne hanno fatto un’attrazione turistica
e battezzato le mummie viaggiatrici
che ne pensano i loro spiriti
ammettendo che vagano in queste contrade
niente di serio potremmo pensare
forse celebrano anche loro il trapasso
con un ballo di scheletri e un po’ di liquore

 

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Note

Tepoztlan – Cittadina nello stato di Morelos (Messico).
Crucecita – Cittadina balneare nello stato di Oaxaca.
“Andiamo a studiare il mamey” – Sapote Mamey, frutto tropicale dell’albero  Pouteria sapote, presente in Messico.
«dia invece uno sguardo a Quévedo Borges e Juan Ramón» – Juan Ramón Jiménez (1881-1958)
lasciarsi rotolare – 
In francese “se laisser rouler” ha inoltre il significato di farsi ingannare.

 

Fabrizio Bajec

Fabrizio Bajec (1975), italo-francese, vive a Parigi e scrive nelle due lingue.
È autore dei seguenti libri di versi : Corpo nemico (in « Ottavo quaderno di poesia italiana contemporanea », Marcos y Marcos, 2004), Gli ultimi (Transeuropa, 2009), Entrare nel vuoto (Con-fine, 2011), La cura (Fermenti, 2015). Alcuni in doppia versione e pubblicati in Belgio e Svizzera e Francia : Entrer dans le vide (Éditions du Fram 2012), Loin de Dieu, près de toi (L’Âge d’Homme, 2013), La collaboration (tituli, 2018). Tra i suoi testi teatrali, Rage è stato rappresentato al Teatro Nazione di Bruxelles, nel 2009, e pubblicato dall’editore tituli nel 2017. Le sue poesie sono presenti in diverse antologie e riviste, e tradotte in spagnolo e svedese. Ha inoltre tradotto in italiano i versi del poeta belga William Cliff: Il pane quotidiano e altre poesie (Edizioni Torino poesia, 2007), Poesie scelte (Fondazione Piazzolla, 2015). Di prossima uscita, in autunno, la sua nuova raccolta di versi, La collaborazione (Marcos y Marcos).

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