L’estate di Nuova Ciminiera – PIETRO RUSSO

da A questa vertigine (Italic, 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per testimonianza e linea di basso

I
Ma la stella, la stella non l’abbiamo vista.
Il tempo di abbassare la testa,
montare le tende nell’informe deserto
una volta, oltre l’occhio e il suo limite.
Dopo
sono arrivati i mangiafuoco, le danzatrici del ventre
i burocrati con i loro geroglifici nero su bianco.
Non credevamo, in coscienza, di fissarlo
il nostro accampamento con gli anni
allargato, solo che abbiamo scordato
la stella e i muscoli del collo
hanno fatto presto a adattarsi di conseguenza.

II
Dubito fosse questione di maglie rotte
(a posteriori si fanno e si disfano
sembrano un’onda sulla rena)
la notte che non prendemmo niente
e quella dopo anche. Quindi capirete,
che c’è da perdere compagni
a seguire questo volto bizantino
o fiammingo o d’avanguardia, ora
sfigurato dalla lebbra ora immigrato, raccolto
in un suo cielo quando lo sbirciamo
a prua, forse ancora in parte diffidenti?
Eccoci dunque imbarcati al largo
gettare la rete accomodata dalle mogli
attendere lo strappo all’amo, l’abbocco.

III
Ecco che fa l’ingresso nell’arena.
Il pubblico invasato aperto
come un Mar Rosso di carne per lasciargli il passaggio.
Chi si sgola per un autografo, altri sgomitano
per un’intervista. Tutto molto prevedibile
e in sé previsto.
Largo alla star, al mito, alla divina celebrità
riconosciuta all’unisono, osanna
intanto che avanza con già addosso il sudario
dell’abbandono imminente, lo sai, certo
che dopo il primo spot il copione cambia.
Avanti il prossimo e che muoia
sbranato dalle belve o nell’anonimato
che differenza fa?

IV
Siamo qui, in quest’ora di carne e paura
e tu dietro quel rinforzo di cemento?
O nell’occhio del gufo o in che ansa del vento?
Sarebbe più facile dire: ecco, questa notte ti nego.
Ma non il corpo. Con il corpo ti cerco. Il corpo
non finge. Avvicina il calice, se devi, sono
un’anima triste e questa cicatrice
fino alla morte.
Diminuisci, nella grazia, il nostro ego.

V
A Damasco, il giorno che la luce sfondò lo spazio
c’ero anche io. Ero il terzo incomodo, l’intruso
dietro il pezzato che alza lo zoccolo,
quello che entra per sbaglio nelle foto.
Deve essere stato forte davvero il flash
ripensando il nitrito e il terrore della bestia
e poi l’urlo, il tondo sordo sul selciato.
Tenere salde le redini, la mia parte nella storia.
Perdonatemi ma
attimi come quello li conosci se hai visto,
se davvero sai cos’è peccare.

 

 

Pietro Russo è nato a Catania, dove insegna materie letterarie nei licei e lingua italiana agli stranieri presso la locale Società Dante Alighieri, di cui è anche responsabile delle attività culturali. Collabora con diverse riviste sia cartacee che online. Ha pubblicato il saggio La memoria e lo specchio. Parole del Petrarca nella poesia di Sereni (Bonanno, 2013). E’ socio fondatore del Centro di Poesia Contemporanea di Catania, di cui è anche segretario.

 

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