ANTONIA POZZI. LA KENOSI DELLE MONTAGNE

Pietro Polverini

Si scorgono i stretti sentieri, le minute arterie che conducono alla radura centrale. Se si porge l’orecchio con garbo, si sentono pure gli scrosci educati dell’acqua tra le pietre. Forse, se si rovista nelle stanze del bosco, può perfino sbucare il passo fugace delle cinciallegre.

La poesia di Antonia Pozzi è ancora incastrata lì, tra i fossati erbosi e le maestose montagne di Pasturo. Probabilmente nessuno come Antonia ha saputo rendere conto della dialettica tra leggerezza e peso nella dinamica del verso. Lei che ha saputo condensare il peso della croce nell’istantaneità della sua parola. Proprio la voce autorevole di Montale, nella prefazione della raccolta Parole pubblicata nel 1948 per Mondadori, ritiene di poter leggere quest’opera come il diario di un’anima Allieva di Antonio Banfi, con la quale si laurea in Estetica, discutendo una tesi sulla formazione giovanile di Gustave Flaubert, Antonia Pozzi visse tra gli estremi di un amore con il proprio professore di latino e greco, ostacolato dalla figura paterna.

phoca_thumb_l_646_001

Per tutta la sua minuta esistenza si dedicò con solerzia alla fotografia e alle escursioni nella sua amata Pasturo. Potremmo dire che il rapporto che la lega alla montagna ha un che di teologico: le vette immense, i picchi innevati somigliano al Dio che la tutela e la custodisce dal fango delle vicende umane. Distaccarsi dalla verticalità delle catene montuose è quasi impossibile per lei: quando capita si assiste ad un benevolo rito di commiato:

Questa è la prova :
che voi mi benedite –
montagne –

se nell’ora del distacco
la vostra chiesa m’accoglie
con la sua bianchezza di sole
e abbraccia forte la mia
malinconia
col canto
delle campane di mezzogiorno –

Nella piccola piazza
una donna ridente
vende le prugne rosse e gialle

per la mia ardente
sete –

sul gradino di pietra
della fontana
luccica la lama
di una piccozza –

l’acqua diaccia gela
il riso in bocca
a un fanciullo –

stampa lo stesso riso
sulla mia bocca –

Questa è la vostra
benedizione –
montagne.

L’itinerario interiore di Antonia Pozzi è radicalmente vocato alla libertà più crudele: distaccarsi dal peso delle montagne che proteggono ma che ostacolano la ricerca verticale. Sfuggire dai giganti rocciosi richiede una sorta di kenosi sui generis per fare spazio ad un nuovo anelito: il desiderio delle cose leggere, possibile solo attraverso una poesia, “legata al passato, devota all’eterno”.

Giuncheto lieve biondo
come un campo di spighe
presso il lago celeste

e le case di un’isola lontana
color di vela
pronte a salpare –

Desiderio di cose leggere
nel cuore che pesa
come pietra
dentro una barca –

Ma giungerà una sera
a queste rive
l’anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l’acqua o l’aria

salperà – con le case
dell’isola lontana,
per un’alta scogliera
di stelle –

Salpare infine per un’alta scogliera di stelle come estremo atto, verso la libertà ricercata: un itinerarium mentis in silentium.

Svenata di sogni
ti desti:
ti è pallida coltre
il cielo mattinale

Come ad un mortale
pericolo scampata,
con gesto umile – i gridi
delle campane scosti:

debolmente,
preghi nel poco sole
un silenzio.

Back to Top