Le porte del vuoto e della musica

Ludovico Peroni

La musica, anche per sua natura propriamente fisica, non può essere considerata come uno strumento artistico capace di indagare troppo approfonditamente sopra il tema del “vuoto”; essa può invece simboleggiare ed incarnare una certa nostra tendenza a resistere e combattere, anche inconsapevolmente, l’horror vacui di natura acustica che spesso affligge l’uomo sia clinicamente che artisticamente.

La reificazione del concetto di “musica” – intimamente in linea con la dissertazione aristotelica sopra l’esistenza del “vuoto” – non riesce a misurare la propria esistenza in ambienti non fisici. Questo non accade solo per la funzione vitale necessità di un mezzo di trasmissione che, in ambiente “non-fisici”, verrebbe a mancare, ma soprattutto per la porzione della sua esistenza, figurata ed idealizzata, legata all’intima natura di “concetto vivo” della musica nella propria proiezione spaziale.

Pur considerando di indubbio interesse poetico la diffusa metafora che rappresenterebbe la musica come una sorta di ordine celeste e angelico, trascendente la materia ed il corpo, non possiamo facilmente condividere, in questa sede, questo pensiero.
Infatti, per quanto cercheremo di straniare la musica dal suo ambito vitale e fisico, tutte le sue caratteristiche formali (o, quantomeno, una parte molto considerevole di esse) saranno necessarie al nostro intuito per la sua immaginazione e, quindi, anche ad una certa dimensione della sua esistenza.

Questo nostro atteggiamento di indagine potrebbe essere tacciato di aprioristica adesione a molta letteratura del pensiero strettamente imbrigliato dalle radici storiche della cultura “occidentale” e, se così fosse, non possiamo che candidamente avallare questa ipotesi.

La musica (così intesa) non può quindi vivere, concettualmente, in assenza di rifermenti spaziali, temporali, timbrici e formali. Naturalmente non ci stiamo rivolgendo solo a musiche aventi uno statuto testuale ben definito (partitura, intavolature, registrazioni audio ecc.), ma anche a quelle che godono di statuto testuale evanescente (ad. es. tradizione orale).
C’è una certa persistenza connaturata all’idea e non alla sua realizzazione.

A prescindere quindi dal peculiare mezzo di trasmissione che sfrutterà, la musica induce la nostra percezione ed il nostro animo verso il proseguimento di un itinerario specifico, un cammino, che spesso riesce a coinvolgerci sia per le proprie immobili caratteristiche logico-formali nascoste che per i moti, caratterizzanti l’andamento delle misture sonoro-timbriche nel tempo, manifestati.

Il coinvolgimento psico-fisico nel procedimento di ascolto di qualsiasi tipo di musica – sia esso implicito o esplicito rispetto alla nostra consapevolezza – riesce a renderci consapevoli ed allo stesso tempo a fare oscillare le nostre percezioni tra tempi e spazi di volta in volta percepiti come manifestazioni oggettive o, distintamente, impressioni soggettive di una realtà “altra” che difficilmente riusciremmo ad accostare per estensione al concetto di vuoto.

Ci piace quindi poter pensare la musica come uno strumento, creato dal nostro intelletto ed ingegno, in grado di poterci accompagnare e guidare nel cammino diretto sino alle soglie del Vuoto; pur non potendoci accedere.

Pensiamo alle pratiche di meditazione ottenute per prolungato ascolto (nonché emissione) di uno o più suoni nel loro progressivo dissolversi nel silenzio:  processo che aiuta molte esercitazioni spirituali a raggiungere quella caratteristica condizione di “vuoto interiore” – considerata spesso necessaria all’accesso verso una dimensione “altra” – e così poter accogliere dentro di sé una certa vera pienezza dell’esistenza.
(Siamo sì consapevoli di aver di molto semplificato e banalizzato la questione, ma speriamo che questo paragone possa servire come semplice spunto poetico di riflessione.)

Non facciamo l’errore di confondere questo “processo verso il vuoto” con il silenzio stesso: esso, il silenzio, è ancora l’ennesimo mezzo e non il fine.

Il Vuoto infatti, come abbiamo accennato nell’articolo sopra citato, non può contemplare – oltre che il suono stesso – neanche la dimensione del silenzio: il silenzio, entità densa almeno quanto quella del suono, occupa uno spazio ben definito in relazione alla musica e (azzardiamo) può essere definito come elemento contenuto nella (e necessario alla) definizione stessa di “musica”.

Forse, arrivati a questo punto – con la musica che ci ha aiutato a definire parzialmente (rispetto all’ambito musicale) il concetto “vuoto” come “quel luogo in cui né suono né silenzio possono accedere” – dovremmo iniziare a ri-considerare la nostra indagine sotto il punto di vista del soggetto e non dell’oggetto.

La musica, riassumendo, può essere vissuta come uno tra i pochi e rari strumenti, ancora in grado di agire congiuntamente alle leggi della natura, che l’intelletto dell’uomo ci ha messo a disposizione per perseguire il nobile fine di poter gungere fino alle porte del vuoto ed intuirlo.
Sta a noi, poi, proseguire.

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