«… avere in sé | un cielo da raccontare»: aforismi di Gilles Baudry tradotti da Emanuele Borsotti

Gilles Braudy

Sull’estuario del fiume Aulne che sfocia nella rada di Brest, nel V secolo san Guénolé inaugurò una presenza monastica in quell’angolo della Bretagna che prende il nome di Finistère, al limitare dell’oceano, del cielo e della terra rigata da un fiume. Da sempre, il monachesimo abita i confini, addossato alle solitudini, alle lande dei deserti di sabbia o alle vaste distese delle acque, cinto dall’abbraccio dei boschi, su monti o isole.

Terre di monaci, e anche di poeti, come Gilles Baudry, bretone di nascita, educato nel mondo contadino, poi in seminario; militare a Tübingen, la città del poeta Hölderlin, e ancora operaio in fabbrica, frequentatore di Taizé; in seguito insegnante in Togo, sino alla professione monastica presso l’abbazia benedettina di Landévennec, nel 1981.

Monachesimo e scrittura: due cammini che si incrociano, si sovrappongono e si intrecciano in una co-spirazione e ispirazione fatta di Parola ascoltata, di pagine lette (come quelle di Cadou, Supervielle, Milosz, Schehadé, Rilke, Grosjean, Bonnefoy e Jaccottet) e di parole scritte…

Aforismi di un poeta e apoftegmi di un monaco, i pensieri in prosa di questa «raccolta» accompagnano per mano il lettore italiano nella scoperta dei grandi temi che traversano l’opera poetica di Gilles Baudry, poeta fra i «poeti | votati alla notorietà | dell’ombra». Se, negli anni, Baudry non ha fatto altro che licenziare librini di poesie, per i torchi dell’editore-artigiano Olivier Rougerie di Mortemart, fine rabdomante di poeti francofoni, la nostra impresa di traduzione è stata più modesta, scegliendo di presentare in italiano l’unica raccolta in prosa (ancorché prosa poetica) di questo autore: G. Baudry, La porta delle parole, a cura di E. Borsotti, Edizioni sete, Faenza 2019.

E il traduttore è traditore ab initio, sin dal titolo: La porte des mots, divenuto con inguaribile imprecisione: La porte delle parole, traccia di quel trascolorare — troppo spesso intraducibile — dei termini francesi mots e parole, per indicare «la parola qualitativa» della poesia, incapace di accontentarsi dei semplici «vocaboli».

Poeta delle parole, ma anche della natura, Baudry avanza fra paysages confidents, fra paesaggi divenuti quasi intimi «confidenti»: inoltrandosi nel sottobosco, come entrando nel «chiostro dell’autunno», o in un nartece o una cripta, cammina in compagnia degli alberi, con le loro chiome frondose, abitate dai passeri che, danzando di ramo in ramo, «emergono dalla luce vegetale senza attentare al silenzio della radura». 

Poi nell’«incanto fiabesco dell’autunno inoltrato», ecco i giorni della spoliazione e della nudità, con le ultime foglie «ancora tremolanti sugli alberi» o cadute ormai a terra, come una tavolozza di colori ai piedi di quei rami che le avevano viste spuntare e dilatarsi nella luce. 

E mentre le radure alberate ospitano il gioco del sole con l’ombra luminosa del bosco, l’uomo che passeggia tra le fronde e i rami ascolta, in silenzio, il canto della linfa che, con invisibile lentezza, fluisce senza urgenza sotto il velo della corteccia, come promessa del dischiudersi della vita… 

Ascoltando la voce tacita delle cose e il mormorio dei cuori, il monaco-poeta — cioè l’uomo nella sua nudità — impara a discernere l’essenziale e si scopre chiamato a donare speranza, a dischiudere l’aurora, a infondere pace, a trasmettere linfa…

 

1.

La nuit, tu te souviens. Tu colles ton oreille à la porte des mots. Surprendre le secret dont ils s’entourent t’ouvrirait le chemin d’une enfance à venir.

La notte, tu ricordi. Incolli l’orecchio alla porta delle parole. Cogliere il segreto di cui si circondano ti aprirebbe il cammino di un’infanzia a venire.

 

7.

Las, les ormes ne sont plus. Mais en rêve parfois ils se penchent sur nous. L’entre-sommeil des brumes basses perpétue le respir de leur feuillage, et s’agitent les branches des ormes en nous qui dorment.

Gli olmi, ahimè, non sono più. Ma, a volte, in sogno si sporgono su di noi. Il sonnecchiare delle brume basse perpetua il respiro del loro fogliame, e si agitano i rami degli olmi che in noi dormono.

 

12.

Le tumulte exile le Verbe. La tentation serait de se payer de mots, alors qu’il s’agit d’être, selon l’expression de M. Blanchot, « celui qui se garde des mots afin que soit une parole ».

Il tumulto esilia il Verbo. Si sarebbe tentati di accontentarsi di vocaboli, mentre — secondo l’espressione di M. Blanchot — si tratta di essere «colui che diffida dei vocaboli, affinché una parola sia».

 

13.

Le poète révèle un sens qui est aussi dévoilement d’une absence. En même temps qu’il dit, il déploie l’espace de l’infiniment tu.

Il poeta rivela un senso che è anche svelamento di un’assenza. Nel tempo stesso del suo dire, dispiega lo spazio dell’infinitamente taciuto.

 

14.

J’aime que l’on parle de « recueil » pour designer un ouvrage de poésie et non de livre. Le « recueillement » réel et fécond : voilà le don qui est fait au poète.

Mi piace che si parli di «raccolta», e non di libro, per designare un’opera di poesia. Il «raccoglimento» reale e fecondo: ecco il dono fatto al poeta.

 

20.

Les oiseaux que les arbres échangent émergent de la lumière végétale sans porter atteinte au silence de la clairière.

Gli uccelli, che gli alberi si scambiano, emergono dalla luce vegetale senza attentare al silenzio della radura.

 

24.

L’automne couleur d’écureuil et l’indulgence des collines… Quelqu’un approche avec ses pas de feuilles mortes…

L’autunno color scoiattolo e l’indulgenza delle colline… Qualcuno si avvicina con i suoi passi di foglie morte…

 

27.

Qu’un faible rayon de soleil parvienne à percer le mystère de ce sous-bois, vrai cloître de l’automne, à toucher ton épaule, et te voilà élu parmi les ombres des épilobes et des ombellifères.

Se solo un debole raggio di sole giunge a penetrare il mistero di questo sottobosco, vero chiostro dell’autunno, e a toccare la tua spalla, eccoti eletto fra le ombre degli epilobi e delle ombrellifere.

 

35.

Prendre l’habitude de ne pas s’habituer. Dès lors, le quotidien peut être banal, il n’est jamais terne. Il nous est donné de vivre chaque instant comme une grâce et le présent comme une épiphanie de l’être.

Prendere l’abitudine di non abituarsi. Allora, il quotidiano può essere banale; ma scialbo mai. Ci è dato di vivere ogni istante come una grazia e il presente come un’epifania dell’essere.

 

70.

Élaguer, élaguer encore : ce qu’on perd en étendue, nous le gagnons en intensité.

Sfrondare, sfrondare ancora: quanto perdiamo in estensione, lo guadagniamo in intensità.

 

77.

Féerie de l’arrière-saison. Cette lumière diluée, impondérable, ces exquises variations tonales des feuilles juxtaposées à terre par le vent ou encore tremblantes dans les arbres.

Incanto fiabesco dell’autunno inoltrato. Quella luce diluita, imponderabile, quelle raffinate variazioni tonali delle foglie accostate a terra dal vento o ancora tremolanti sugli alberi.

 

80.

L’essentiel se dit toujours dans un murmure. C’est, de nuit, un bouche-à-oreille de la part des sources.

L’essenziale si dice sempre in un mormorio. È un passaparola delle sorgenti, di notte.

 

81.

Dans la simplicité aimante, être des donneurs d’espérance, des ouvreurs d’aurore, des infuseurs de paix, des passeurs de sève.

Nella semplicità amante, essere donatori di speranza, uscieri dell’aurora, infusori di pace, corrieri di linfa.

 

83.

Vivre ensemble la clôture et l’accueil, la rupture et l’ouverture ; être hommes de l’écart et de l’alliance ; « en marge pour être au cœur », pour parler comme Jean Sulivan.

Vivere insieme la clausura e l’accoglienza, la rottura e l’apertura; essere uomini in disparte e di alleanza; «al margine per essere al cuore», come direbbe Jean Sulivan.

 

93.

Le travail de l’écriture… qui nous travaille : un labeur de Pénélope, qui consiste à faire et à défaire jusqu’à la décantation, en ne gardant que l’essentiel, une langue dépouillée de ses scories.

Il lavoro della scrittura… che ci lavora: una fatica di Penelope, che consiste nel fare e disfare sino alla decantazione, conservando solo l’essenziale, una lingua spogliata delle sue scorie.

 

98.

Pauvre est le soir, et le chemin très effacé. Derrière toi la brise lentement s’approche et te lèche les doigts…

Povera è la sera, e il sentiero quasi cancellato. Dietro di te la brezza lentamente si avvicina e ti lecca le dita…

 

105.

Dimanche d’octobre. La nature a encore de beaux restes. Elle semble faire un signe d’adieu qui n’en finit pas d’en finir… Voix claires d’enfants dans le bois… L’écho voyage sur le chemin de l’air.

Domenica d’ottobre. È ancora bella la natura nei suoi resti. Sembra fare un segno d’addio che non finisce di finire… Voci chiare di bambini nel bosco… L’eco viaggia sul sentiero dell’aria.

 

107.

Ils savent tout sur tout. Ils ont tout. Et « tout » les distrait de l’Attente. C’est le manque qui leur fait défaut.

Sanno tutto di tutto. Hanno tutto. E «tutto» li distrae dall’Attesa. È la mancanza che fa loro difetto.

 

 

Gilles Baudry (Saint Philbert de Grand-Lieu, 1948), monaco benedettino dell’Abbaye Saint-Guénolé de Landévennec (Francia), è un poeta bretone. In seno alla Commission Francophone Cistercienne (cfc) è autore di testi per l’eucologia e il canto liturgico. Ha ricevuto il premio Antonin Artaud per la sua raccolta di poesie Il a neigé tant de silence (1985), mentre nel 2005 è stato insignito del premio de l’Académie de Bretagne et des Pays-de-la-Loire e nel 2013 del premio Aliénor. Per una bibliografia più esaustiva, cf. G. Baudry, La porta delle parole, a cura di E. Borsotti, Edizioni sete, Faenza 2019, p. 53. Per uno specimen della traduzione italiana: cf. https://www.academia.edu/39401840/BORSOTTI_E._L_orecchio_dell_invisibile_il_visionario_del_silenzio._La_linfa_delle_parole_in_Gilles_Baudry_in_G._Baudry_La_porta_delle_parole_a_cura_di_E._Borsotti_Ed._sete_Faenza_2019_Sete_13_pp._37-49

 

Emanuele Borsotti, dopo gli studi in lettere classiche presso l’Università di Torino e gli studi teologici presso la sezione torinese della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, si è specializzato in teologia sacramentaria e liturgia presso l’Institut Catholique di Parigi, dove prosegue le sue ricerche presso l’École Doctorale. Per le edizioni Qiqajon ha pubblicato Nudità della parola. Le sette parole di Gesù in croce (2018), Una gioia provata. Il cammino delle beatitudini (2019) e ha curato l’antologia patristica Un solo corpo. Mistagogia della liturgia eucaristica attraverso i testi dei Padri latini (2016). Fra le sue traduzioni dal francese, la recente edizione italiana di Cuore di neve di Christian Bobin (Elledici 2019).

Questo articolo viene ospitato nella rubrica di traduzione curata da Francesco Occhetto, il quale a sua volta ringrazia gli autori per la gentile concessione dei testi.

 

 

 

Back to Top