Edoardo Zuccato, Gli incubi di Menippo – di Fabrizio Bajec

di Fabrizio Bajec

Gli incubi di Menippo, di Edoardo Zuccato, è il libro più dialettale fra le raccolte non dialettali scritte negli ultimi decenni. Voglio dire che pur avendo fatto l’eccezione, per una volta, di scrivere versi direttamente in italiano (e quindi di non tradurre dall’alto-milanese), con questo sorprendente volume di versi egli conserva tutte le qualità eversive, espressionistiche di una certa letteratura medioevale, che mescola l’alto col basso, non solo per quanto concerne i registri linguistici e i toni, ma anche i temi. Troverebbe il suo posto ideale in un’antologia europea della satira. A colpi di parodia e crudi adattamenti moderni di mitologie più o meno gloriose, ecco denunciate le piccole miserie urbane in cui il poeta è caduto (e già rimpiange la sua Tebaide). La prosa prorompe soprattutto nella prima delle quattro parti del libro, la più acida, crudele e divertente. Ma preferisco di gran lunga la seconda, in cui si opera una sintesi perfettamente equilibrata tra l’asprezza della commedia umana e lo splendore malinconico di una lingua che ha conosciuto la lezione del romanticismo, passando per autori frequentati e graffianti come l’inglese Tony Harrison. Tra un incubo contemporaneo e l’altro, c’è il tempo di meditare sulla letteratura e sui rischi che si prendono (in modo mai banale. Esempio: la più grande traduttrice di tutti e tempi è la morte). Zuccato lo fa allineando, per esempio, la propaganda di Lotta Continua con quella di Comunione e Liberazione. Ma osa perché le idee per lui sono maschere, pose, non contano più, anzi crollano come qualsiasi teoria seriosa. Eppure il poeta non ride sotto, sotto. E’ tremendamente amareggiato. E ciò non si deve vedere. Meglio il riso giallo, grasso, fino a quell’incendio finale che per me è “Il sacco di Roma”.

la copertina del libro

Una poesia giullaresca, in definitiva, di una non comune radicalità in un’epoca trasparente per la sua compostezza letteraria. Non tutto luccica quando il sistema allegorico cede, qua e là, sotto il peso della marcia carnevalesca e la ripetizione dei soggetti triviali, ma vi sono vari tesori, nell’intervallo (seconda sezione) vi sono dei mirabili tesori e lezioni di antinovecentismo.

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