“L’ombra e il davanzale” di Anna Elisa De Gregorio

di Jacopo Curi

La pubblicazione di una raccolta inedita è il premio assegnato al primo classificato al concorso “Poesia di strada” a cura dell’Associazione Culturale “Licenze poetiche” di Macerata, ormai giunto alla ventiduesima edizione. Nel 2018, nel corso della relativa serata conclusiva svoltasi nell’ambito del Festival “Artistrada” di Colmurano (MC), tra i dieci finalisti (Davide Rocco Colacrai, Anna Elisa De Gregorio, Francesca De Luca, Lorenzo Fava, Riccardo Frolloni, Michele Lionetti, Alessandro Moscè, Sergio Rotino, Silvano Sbarbati, Marco Villa)  la giuria composta da Maria Grazia Calandrone, Enrico De Lea, Marco Di Pasquale, Renata Morresi, Eleonora Pinzuti e Alessandro Seri ha decretato De Gregorio vincitrice. Lo scorso 7 dicembre è quindi uscito per Seri Editore, con la prefazione di Calandrone e le illustrazioni di Francesco Pirro, il suo nuovo libro intitolato L’ombra e il davanzale, del quale si propone una selezione di testi, tra cui una prosa poetica (una tra alcune presenti nella prima sezione dell’opera) e tre haiku (che formano la seconda sezione).

Dopo i lavori precedenti per De Gregorio si tratta di un’ulteriore conferma che premia una lunga, costante e infaticabile attività di lettura e partecipazione all’interno del panorama letterario contemporaneo, nonché di personale ricerca sulla parola e sul verso. Il risultato, nel contesto di una cifra stilistica ormai solida e riconoscibile, è una poesia aperta e garbata che non rinuncia a laceranti affondi nell’esperienza umana concreta, costituita dall’inevitabile quanto complementare opposizione tra luce e ombra, dietro la quale si celano consapevolezza e accettazione della morte, in una riflessione lucida e priva di inutile e retorico compatimento.

Per l’occasione l’autrice ci ha rilasciato in esclusiva un’intervista a tutto campo:

Jacopo Curi – Sono passati tre anni dalla pubblicazione di Un punto di biacca (La Vita Felice) e prima di allora ci sono state altre raccolte. Da cosa si riparte, come si torna a concepire dopo uno svuotamento?

Anna Elisa De Gregorio – Certo, un libro finito è sempre un trauma, è sempre un addio, una parte di noi che dobbiamo lasciare, ma non è uno svuotamento, piuttosto una sosta: la vita ci scorre addosso comunque e la mente scorre con lei. Ci sono dei momenti di silenzio e di ascolto anche molto lunghi e assolutamente necessari, in cui non scrivo una parola, seguiti da momenti di scrittura frenetica, ma non sempre coincidono con il congedo del precedente libro. Inoltre molti testi restano nel cassetto, perché ancora non sono pronti: devono superare una quarantena di almeno un anno.

JC – L’ombra e il davanzale è il tuo ultimo lavoro appena uscito per Seri Editore. Come lo presenteresti ai lettori?
DG
– Il libro è diviso in due sezioni: nella prima dal titolo eponimo L’ombra e il davanzale (ma che avrebbe potuto intitolarsi Hotel Insonnia, se già Charles Simic non lo avesse scelto per sé) ho raccolto poesie e brevi prose poetiche concepite fra il 2016 e l’inizio del 2019, in cui il motivo conduttore è la riduzione, la scomparsa, il vuoto, l’ombra e necessariamente il loro contrario; nella seconda parte, seguendo gli stessi temi di fondo, dal titolo Sotto il guscio del cielo, ho inserito ottanta haiku, selezionati nel giro di vent’anni e arricchiti da illustrazioni molo originali del grafico Francesco Pirro.

JC – Credi che in questa fase della tua produzione sia cambiato qualcosa da un punto di vista contenutistico e formale rispetto al passato?
DG
– Ogni libro ci vede cambiati: i temi che premono o ci ossessionano sono diversi in ogni periodo della vita. In Un Punto di Biacca, ad esempio, ho privilegiato e raccolto testi ecfrastici, dato il mio speciale interesse per le opere d’arte e per la pittura in particolare… Ho anche notato che l’ironia nei miei testi è direttamente proporzionale all’età: farmaco per curare la morte. La mia attenzione al nulla, al vuoto e allo zero si è accentuata in questi anni anche a causa delle ultime scoperte della fisica e della matematica: ben si è chiarita la percezione che l’essere umano davvero è “un niente”, è polvere, è solitudine dell’universo. Sulla terra tutti gli animali, noi compresi, rappresentano lo 0,03 per cento degli esseri viventi, le piante il 95%. Perché le piante, anche se lo dimentichiamo, sono esseri viventi e senza di loro non potremmo sopravvivere, anzi non saremmo mai nati. Se domani noi umani dovessimo scomparire, nessuno avrebbe a lamentarsene, anzi nessuno se ne accorgerebbe.

JC – Questo nuovo libro, come già hai detto, presenta anche alcune prose poetiche e una sezione di haiku. Da cosa nasce l’esigenza di utilizzare queste forme di scrittura?
DG
– Una costante, nel tempo, del mio lavoro poetico, è la “riduzione” delle parole: certamente il mio interesse ventennale per la forma haiku, dove il non detto è più importante del detto, ha avuto come conseguenza una maggiore asciuttezza e poche concessioni all’ornamento, oppure può essere, al contrario, che io abbia frequentato la via degli haiku perché sono attratta dall’essenza, come direbbe Marina Cevtaeva… Mi interessa, soprattutto, la filosofia che sta dietro alla forma dello haiku, una visione poco occidentale e non antropocentrica del mondo. La mia poesia ha già un andamento prosastico, poco lirico: ecco da dove arrivano le mie prime prose poetiche, che, per il momento, raggiungono le cento parole o poco più, ma sto pensando già, per il futuro, al racconto breve.

JC – Qual è il tuo rapporto con i cosiddetti maestri e quale invece quello con la poesia contemporanea?
DG – 
Ovviamente sono donna del secondo novecento, del dopoguerra e di tutte le “rivoluzioni” successive, alle quali ho partecipato in prima persona: ho fatto “poesia civile” in piazza più che sui libri. Le giovani donne oggi si muovono liberamente nel mondo perché nel vicinissimo novecento ho lottato insieme con altre donne per i miei e per i loro diritti. La mia è stata un’epoca di grandi ideali e di grandi cambiamenti. Sono devota ai miei maestri, a cominciare da Guido Cavalcanti, eretico e rivoluzionario (non a caso sono nata in Toscana e ho abitato lì per i miei primi diciassette anni) fino ad arrivare all’amata Amelia Rosselli, all’ultimo Caproni, all’altrettanto amato Camillo Sbarbaro. Mi sento una piccola voce, poco più di un “alone” di voce, proprio come si sentiva Sbarbaro nel suo Pianissimo. Il poeta italiano vivente a cui sono legata più che ad ogni altro è Eugenio De Signoribus, poeta del presentimento, poeta civile e appartato, fino a “scomparire”, come ha scritto Cortellessa: il suo è un pensiero elevato che non si concede se non alla sua ispirazione. Ma il mio interesse quasi dissennato va alla poesia di lingua anglosassone del secondo novecento, tipicamente prosastica, da Wallace Stevens a Mark Strand. Tutte queste voci abitano le mie stanze, il mio letto, i miei vestiti, i miei cibi. Se per poesia contemporanea intendi quella degli ultimi anni, certo ne leggo molta. Sono attenta ai giovani. Fra loro, per restare nella nostra regione, voglio nominare Franca Mancinelli, Massimo Gezzi, Renata Morresi, Luigi Socci. E Adelelmo Ruggieri, che è meno giovane, ma veramente poeta. Leggo e leggo.

JC – Nel 2013 hai pubblicato Corde de tempo (Edizioni DARS), silloge in neodialetto anconetano. Cosa pensi della poesia dialettale e come credi si interfacci con poesia in lingua?
DG
– La poesia dialettale è poesia tout court ed è necessaria quanto la poesia in lingua. Per fortuna è viva e sempre più importante grazie a grandi poeti che scelgono il dialetto per esprimersi: è uno dei miei interessi, diciamo pure, passivi, a parte la plaquette da te nominata, unica mia opera “attiva” nel neodialetto di Ancona. Da poco è nata, presso l’editore, coraggioso e mai abbastanza ringraziato, Quodlibet di Macerata, una collana di poesia dialettale dal titolo Ardilut, curata da Giorgio Agamben, che pubblica poesia “bilingue”.  Non mi posso dilungare, ma quello che importa è che a breve rivedrà la luce, per merito di questo grand’uomo, tutta l’opera di Franco Scataglini, uno dei miei maestri, del quale ho letto tutto il possibile, perché Scataglini è un poeta senza aggettivi. Non mi considero un poeta dialettale perché ho lavorato troppo poco sul dialetto, pur se ho avuto la fortuna immeritata di essere inserita nell’antologia Poeti neodialettali marchigiani, curata da te e da Fabio Serpilli. Un’esperienza che mi ha dato molta soddisfazione. Quindi mai dire mai.

JC – Dopo la vittoria del premio “Poesia di strada” Alessandro Seri ti ha voluto fortemente tra i suoi autori. Come giudichi l’operato di questo nuovo editore?
DG
– Un editore che va incoraggiato in ogni modo, anche se, o soprattutto perché, è sul mercato da meno di due anni: lo apprezzo per l’impegno civile, per l’interesse verso i giovani e per amor di poesia. Lo confermano le sue scelte editoriali. Fino all’anno passato chi poteva immaginare che avrei pubblicato con lui? Le vie della poesia non sono finite.

Anna Elisa De Gregorio

Da L’ombra e il davanzale (Seri Editore, 2019)

 

Torniamoci sopra

Passare come passa una mattina
di marzo quando tutto è indeciso
e potrebbe domani
ritornare la neve.

Come un caffè bevuto
lasciare un’aureola zuccherina
nel fondo della tazza
ancora calda

che possa dire: io c’ero
e un po’ ci sono ancora.

 

Canto del cigno

Quel progressivo ingiallimento sui bordi nulla faceva presagire di buono, sentiva, fin nelle radici, vicina la fine. L’ora dell’ultimo atto era arrivata: avrebbe lasciato un pegno di riconoscenza alla casa che aveva abitato, un’offerta di bellezza.

Durante l’intera estate continuarono a spuntare fiori: dopo i primi quattro, da un suo braccio si annunciarono dieci boccioli, da un altro ancora sei. Si aprirono in progressione lenta e ininterrotta ventuno orchidee bianchissime e perfette. Solo il ventiduesimo bocciolo non ebbe abbastanza forza per schiudersi.

Le trasparenze estive avevano già lasciato il posto alle ombre autunnali quando il vaso fu tolto dal davanzale.

*

Filo di stelle
incatena il paese.
Le case mute.

*

È dolorosa
la spina della vela:
punge l’azzurro.

*

Fende la luce
la vetrata del duomo:
strada di santi.

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Anna Elisa De Gregorio è nata a Siena da genitori campani. Abita ad Ancona dal 1959 dove lavora presso una agenzia di marketing. Ha pubblicato nel 2010 il suo primo libro di poesie Le Rondini di Manet per i tipi di Polistampa di Firenze, prefazione di Alessandro Fo (Premio Pisa 2010 opera prima; Premio Contini Bonacossi 2011 opera prima). Nel 2012, grazie al concorso Inedito Colline di Torino, ha pubblicato il suo secondo libro Dopo tanto esilio per i tipi di Raffaelli Editore di Rimini, prefazione di Davide Rondoni (nella cinquina finalista del premio Gradiva, New York 2013, primo premio Borgo di Alberona 2014). Nel 2013 ha pubblicato, grazie al DARS di Udine, una plaquette di poesie dal titolo Corde de tempo in dialetto anconetano. Nel 2016 per l’editore La Vita Felice di Milano pubblica il volume Un punto di Biacca con una nota di Francesco Scarabicchi (nella terna del premio Metauro 2016, finalista premio Guido Gozzano 2016). L’ombra e il davanzale (Seri Editore, 2019 – con dodici illustrazioni di Francesco Pirro) è il suo nuovo libro. Nel 2008 ha vinto il Premio Nazionale Haiku organizzato dall’Associazione Italiana Amici del haiku, patrocinato dall’Ambasciata giapponese e dall’Istituto giapponese di cultura a Roma. E’ presente in numerose antologie, pubblica articoli su riviste letterarie e blog (Poesia, Caffè Michelangiolo, Le Voci della Luna, Clandestino, Atelier, L’Immaginazione, Periferie, Nostro Lunedì, Poesia 2.0, Versante Ripido, Fili di Aquilone). Ha organizzato stage presso scuole e circoli culturali sulla poesia haiku.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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