Sohrāb Sepehri, quattro poesie tradotte da Francesco Occhetto

Indirizzo

“Dove è la casa dell’Amico?”
Chiese all’alba il cavaliere.
Il cielo esitò.
Il passante teneva stretto un ramo di luce
tra le labbra, lo offrì alle sabbie oscure
indicò col dito un pioppo e disse:

“Prima di arrivare all’albero,
trovi un sentiero più verde del sogno di Dio
dove l’amore è azzurro come le ali della sincerità.
Prosegui fino in fondo al sentiero
che emerge oltre l’adolescenza,
poi volgi verso il fiore della solitudine,
e fermati due passi prima,
a guardare l’eterno ruscello dei miti terrestri
colto da un limpido timore.
Nell’intimità mutevole dello spazio
sentirai un fruscio:
vedrai un fanciullo arrampicarsi sull’alto pino
per rapire il pulcino dal nido della luce
chiedi a lui
dove è la casa dell’Amico”.

*

Un’oasi nell’attimo

Se venite a cercarmi,
sono oltre la terra del nulla.

Oltre la terra del nulla vi è un luogo
dove le venature dell’aria
sono tanti messaggeri che portano notizie
del fiore appena sbocciato
nei cespugli delle lande più lontane.
Là, impresse sulla sabbia
troverete tracce di delicati cavalieri
che salirono all’alba su quel colle
dove i papaveri scalano il cielo.

Oltre la terra del nulla
è aperto l’ombrello del desiderio:
non appena la brezza assetata
soffia nelle radici di una foglia
suona la campanella della pioggia.
Qui l’uomo è solo
e in questa solitudine
fino all’eternità
scorre l’ombra di un olmo.

Se venite a cercarmi
venite adagio, lievemente
che non si screpoli la fragile
porcellana della mia solitudine.

*

Un messaggio in arrivo

Un giorno
verrò, e porterò un messaggio.
Nelle vene, verserò luce.
E urlerò: o voi dai cestini colmi di sonno!
Ho portato la mela, la mela rossa del sole.

Verrò, offrirò fiori di gelsomino a un mendicante.
Donerò altri orecchini alla bella lebbrosa.
Dirò al cieco: quant’è bello il giardino!
Farò il venditore ambulante, girerò i vicoli, griderò:
rugiade, rugiade, rugiade!
E quando il passante dirà: come è buia la notte!
gli regalerò una cometa.
Sul ponte c’è una bambina senza gambe,
le appenderò al collo l’Orsa Maggiore.
Cancellerò gli insulti dalle labbra.
Sradicherò i muri.
Dirò ai briganti: è in arrivo una carovana di sorrisi!
Squarcerò la nube.
Annoderò gli occhi con il sole, i cuori con l’amore,
le ombre con l’acqua, i rami con il vento.
E unirò il sonno del fanciullo col bisbiglio dei grilli.
Farò volare molti aquiloni.
Innaffierò tutti i vasi.

Verrò e getterò l’erba verde delle carezze a cavalli e buoi.
Porterò un secchio di rugiada per la puledra assetata.
Scaccerò le mosche dal vecchio asino in cammino.

Verrò e sui muri pianterò garofani.
Sotto ogni finestra leggerò poesie.
Donerò un pino a ciascun corvo.
Parlerò alla serpe dello splendore delle rane!
Riconcilierò.
Farò conoscere.
Camminerò.
Mangerò luce.
Amerò.

*

Il sussurro della parola “vita”

Dietro la pineta, la neve.
La neve, uno stormo di corvi.
Strada vuol dire esilio.
Vento, canto, viaggiatore, un po’ di sonno.
Un ramo d’edera, un arrivo, un cortile.

Io, la nostalgia e il vetro bagnato.
Scrivo in questo spazio.
Due muri e qualche passero.

Qualcuno è triste.
Qualcuno fa la maglia.
Qualcuno conta.
Qualcuno canticchia.

La vita, uno stormo che vola via.
Perché quest’angoscia?
Non mancano le speranze: c’è il sole,
il bambino del dopodomani,
la colomba dell’altra settimana.

Ieri notte morì qualcuno
ma ancora è buono il pane di grano.
E ancora gocciola l’acqua, e i cavalli bevono.

Scorrono le gocce
la neve è sulle spalle del silenzio
il tempo sulla spina dorsale del gelsomino.

* La traduzione dei testi dal persiano è stata svolta sull’edizione degli “Otto libri” (S. SEPEHRI, Hasht Ketāb, Tahuri, Tehran, 1992)

 

NOTIZIA

Sohrāb Sepehri

Sohrāb Sepehri (1928 – 1980) è stato un poeta, scrittore e pittore iraniano, tra le personalità più importanti della letteratura persiana contemporanea. Nato a Kāshān, si trasferisce presto a Tehran dove studia alla Scuola di Belle Arti. Nel 1951, a soli ventitré anni, pubblica la raccolta in versi “La morte del colore” (Marg-e rang); parte per l’Europa e si stabilisce a Parigi, nel 1957, per perfezionare all’Accademia la tecnica della litografia. Di carattere malinconico e introspettivo, con una spiccata vena mistica, già dalla giovinezza approfondisce lo studio della letteratura, delle arti e delle religioni. Spinto da tali interessi, nel 1964 visita l’India e il Pakistan, rimanendo molto colpito e influenzato dalla spiritualità induista e buddhista, tanto da farne materia di alcune poesie. Nel frattempo pubblica altri volumi, tra i quali, “Il rumore dei passi dell’acqua” (Sedāy-e pāy-e āb, 1965) e “La dimensione verde” (Hajm-e sabz, 1967), opere che segnano la parte centrale ⎼ più matura, compiuta e originale ⎼ della sua attività poetica. Del 1969 è la partecipazione alla Biennale di Parigi e l’esposizione di alcune sue tele a New York; importante il volume degli “Otto libri” (Hasht Ketāb), uscito nel 1977, nel quale confluiscono tutte le poesie scritte sino ad allora, con l’aggiunta di testi inediti. “Noi nulla, noi sguardo” (Mā hich, mā negāh) è la sua ultima opera in versi, pubblicata sempre nel 1977, tre anni prima della prematura scomparsa, avvenuta a Tehran nell’aprile del 1980 per una improvvisa malattia.

 

Francesco Occhetto

Francesco Occhetto (1996) è laureato in Lettere all’Università del Piemonte Orientale e sta per concludere la laurea magistrale in Scienze Orientalistiche presso l’Università di Bologna. I suoi principali interessi sono la poesia e lo studio delle religioni, traduce dal persiano e collabora a varie riviste culturali.

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