Margaret Atwood, Brevi scene di lupi

di Luca Ariano

In questo 2020 in cui molti libri di poesia in uscita sono stati rimandati a data da destinarsi o annullati, riempie di gioia vedere ripubblicata un’antologia della scrittrice e poetessa Margaret Atwood Brevi scene di lupi a cura di Renata Morresi per Ponte Alle Grazie. Anche quest’anno il nome della Atwood era circolato tra i favoriti al Premio Nobel per la Letteratura, poi assegnato alla poetessa statunitense Lousie Glück.

Margaret Atwood in Italia è conosciuta soprattutto come scrittrice, ma da sempre scrive e pubblica poesie ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Canada (Paese dove è nata nel 1939) e nel mondo.

Questa antologia, sapientemente curata da Renata Morresi, raccoglie poesie dal 1966 al 2020, un arco quindi di oltre cinquant’anni di produzione. Molte poesie, ivi presenti, non sono state mai tradotte in Italia e sono una vera e propria novità per i lettori italiani. Si va dalle poesie di The circle game (Il girotondo,1966) che contiene Dopo il diluvio, noi, così come The Animals in That Country (Gli animali di quel paese,1968) che include Elegia per tartarughe giganti ed È pericoloso leggere i giornali. Poesie inedite sono presenti anche in Power Politics (Giochi di potere,1971), You Are Happy (Sei felice,1974), così come in Two-Headed Poems (Poesie a due teste,1978) fino Dearly (Moltissimo,2020).

Disparate sono le tematiche affrontate dall’autrice, ma in particolare si evidenziano quelle legate alla devastazione che l’uomo ha compiuto verso l’ambiente e gli animali come nella già citata  Elegia per le tartarughe giganti: “[…] io mi dedicherò a una meditazione / sulle tartarughe giganti / ormai in fin di vita su un’isola remota.” Non solo gli animali sono naturalmente protagonisti, ma anche gli uomini e le loro violenze causate dalla guerra: “In principio mi erano concessi secoli / di attese nelle caverne, tra le pelli / nelle tende, sapendo che non saresti mai tornato […] e in certe notti più propizie / salti dalla sedia / senza neanche toccare la cena / riesco a darti un bacio d’addio / prima che tu esca in strada e loro comincino a sparare.” (In principio mi erano concessi secoli)  L’uomo torna spesso in questi versi con tutte le sue brutture, cattiverie verso il prossimo e l’ambiente circostante, come nello splendido testo Sposando il boia: “È stata condannata a morte per impiccagione. Un uomo può evitare la sentenza diventando il boia, una donna sposando il boia. Al momento non c’è nessun boia, perciò non c’è scampo. C’è solo la morte, rimandata a tempo indefinito. Questa non è un’invenzione, è storia.” E proseguendo in queste folgoranti prose poetiche: “Usa la sua voce come una mano, la sua voce lo raggiunge attraverso il muro, accarezza e tocca. Cosa poteva dire per convincerlo? Lui non era un condannato a morte, lo aspettava la libertà. Qual era la tentazione giusta, cosa poteva funzionare? Forse gli sarebbe piaciuto vivere con una donna che aveva salvato, che aveva guardato giù dentro la terra ma l’aveva comunque seguito su verso la vita. Era la sua unica possibilità per essere un eroe, almeno per una persona, perché, fosse diventato il boia, gli altri l’avrebbero odiato tutti. Era in prigione per aver ferito un altro uomo, al dito della mano destra, con una spada. Anche questa è storia.” Non solo l’ecologia e gli esseri umani, ma anche le vicende autobiografiche sono presenti in tante poesie con riferimenti  al mito classico (Cassandra pensa se rifiutare il dono) e sullo sfondo il Canada dove la scrittice vive. Leggendo questa antologia si può ritrovare fiducia nella parola, nelle voci dei poeti che non solo scrivono del proprio vissuto, ma sempre cercano di dare voce a chi non l’ha (come riporta Renata Morresi citando una frase della Atwood nella preziosa e puntuale postfazione) e per la Atwood I poeti resistono: “I poeti resistono / difficile liberarsi di loro, / e dio sa quanto c’abbiamo provato. / Li passiamo per strada, / se ne stanno coi cappelli a mendicare. / un’antica tradizione. […]”

Margaret Atwood

 

Per gentile concessione dell’editore Ponte Alle Grazie


La doppia voce

Due voci
a turno usavano i miei occhi:

Una era forbita
dipingeva ad acquerello
usava un tono pacato parlando
di montagne o cascate del Niagara,
componeva versi edificanti
e si commuoveva per i poveri.

L’altra voce
aveva un altro sapere:
che gli uomini sudano
sempre e bevono spesso,
che i porci sono porci
ma vanno mangiati
comunque, che i bambini non nati
marciscono come ulcere nel corpo
che non c’è niente da fare
per le mosche;

Una vedeva attraverso i miei
occhi appannati, ogni giorno più
sbiaditi, foglie rosse,

i rituali delle stagioni e dei fiumi

L’altra trovò un cane morto
una festa di larve
mezza sepolta tra i piselli dolci.

 

Da Sposando il boia

Usa la sua voce come una mano, la sua voce lo raggiunge attraverso il muro, accarezza e tocca. Cosa poteva dire per convincerlo? Lui non era un condannato a morte, lo aspettava la libertà. Qual era la tentazione giusta, cosa poteva funzionare? Forse gli sarebbe piaciuto vivere con una donna che aveva salvato, che aveva guardato giù dentro la terra ma l’aveva comunque seguito su verso la vita. Era la sua unica possibilità per essere un eroe, almeno per una persona, perché, fosse diventato il boia, gli altri l’avrebbero odiato tutti. Era in prigione per aver ferito un altro uomo, al dito della mano destra, con una spada. Anche questa è storia.
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Entrambe le mie amiche mi raccontano le loro storie, che sono da non credere e che sono vere. Sono storie dell’orrore e non sono accadute a me, non sono ancora accadute a me, sono accadute a me ma noi siamo distaccate, guardiamo il nostro scetticismo con orrore. Certe cose non possono accadere a noi, è pomeriggio e certe cose non accadono di pomeriggio. Il problema è stato, diceva lei, che non ho fatto in tempo a mettere gli occhiali e senza sono cieca come una talpa e neanche ho visto chi era. Queste cose accadono e noi sediamo a un tavolo e ne facciamo racconti a cui possiamo finalmente credere. Questa non è un’invenzione, questa è la storia, di boia ce n’è più di uno e qualcuno tra questi è senza lavoro.

 

 

Canto del maiale

Ecco cos’avete fatto di me:
una verdura pallida occhietti
sporgenti da chiocciola, color
rosa culetto, pappa tipo rapa a fine stagione,

 

un sacco di pelle che gonfiate per nutrirvi
a vostra volta, una fetida verruca
di carne, grosso tubero
di sangue, coi cicci belli
gonfi. Bene, bene. Nel mentre

 

io ho il cielo, sbarrato solo per metà,
ho i miei angolini d’erba,
mi faccio le mie cose cantando
un canzone di bulbo e di grugno,

 

il mio canto dello sterco. Signora,
questi canti vi offendono, come questi grugniti
che voi trovate così pesantemente ammiccanti
scambiando il vorace per voglioso.

 

Son tutto vostro. Se mi darete immondizia
canterò il canto dell’immondizia.
Questo è già un inno.

 

la copertina del libro

 

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