«Non siamo nel mondo ma in un presentimento». Per segni accesi di Annamaria Ferramosca

A proposito del dibattuto binomio letteratura-vita, ove con il secondo termine qui s’intende il dato meramente biografico, Annamaria Ferramosca si è laureata in Scienze Biologiche dopo aver maturato una passione per gli autori greci e latini al Liceo classico. Forse non è un caso, perciò, che nella sua ultima raccolta Per segni accesi. Password per un cammino (Ladolfi, 2021) il lessico da una parte includa riferimenti all’antichità («motivo greco», «uso greco», «sirene», «Idrusa», «kore», «dea Mirra», «Adone», «Pan», «tedoforo di Olimpia», «troiani», «cavallo di Troia»), dall’altra alla scienza («materia», «monitor», «entropia», «atomi», «spin», «neuroni», «legami covalenti», «tracker»): d’altronde gli stessi presocratici, i primi filosofi occidentali, avevano dimestichezza con il mondo fisico. Il cammino a cui Ferramosca allude nel sottotitolo dell’opera inizia con il mistero della nascita e, per estensione, delle origini. Sul versante opposto, però, la modernità chiede di essere nominata entro le proprie specifiche coordinate terminologiche. Eppure la posizione di Ferramosca non è affatto scientista; al contrario, per quanto il presente costringa chi scrive a misurarsi con le categorie che lo rappresentano, esse non sono sufficienti ad arginare le derive del «caos» causato dalla tecnocrazia dell’homo oeconomicus: lo testimonia soprattutto lo scenario post-apocalittico di terra domani che chiude il libro. Così l’andamento magmatico e disarticolato di versi pieni di rimandi fonici e semantici (una sorta di danza universale, rileva Luigi Manzi nella nota critica che fa da contrappunto alla prefazione di Maria Grazia Calandrone) riproduce il flusso di un dire che procedendo per illuminazioni – a tratti surreali – tenta di svincolarsi da una disciplina schematica con l’obiettivo di ridiscutere, anche sul piano etico, i fondamenti della civiltà: l’«enigma abbagliante» è dunque un «miraggio» che maschera il disorientamento di fondo espresso da una rosa di parole ibride che tendono a rimarcare la condizione esistenziale di incertezza. In un contesto così montaliano (a cui sembra alludere il ricordo della «carrucola» che «cigolava») i «miti» costituiscono appunto un «varco» per una fuga ideale in un tempo e in uno spazio che si trapassano continuamente. Al netto di questa «illusione» la realtà solida e concreta, evidenziata da Calandrone, profila gli elementi di un disastro, in primo luogo ecologico, che Ferramosca tenta di affrontare facendo «tabula rasa dei pensieri» per tamponare, con gli strumenti che ha a disposizione il poeta, un’emorragia linguistica. Tornare allo stato infantile delle «lallazioni», pertanto, significa ripristinare un legame con quella stessa realtà che si presenta come una «babel» contemporanea: solo il contatto diretto con la sostanza delle parole offre la possibilità di restituire fecondità all’esperienza della natura e dell’incontro, che sommate rafforzano addirittura il paradigma della «social catena» dell’ultimo Leopardi.

Tra i segni accesi indicati da Ferramosca ci sono anche riferimenti ancestrali di società tribali quali il «totem» e il «canto sciamano», oppure espressioni della cultura favolistica persiana (il personaggio di Sheerazade de Le mille e una notte): sono le uniche password rintracciate per rispondere a una domanda di senso che in ultima istanza rimane non riconducibile a un sistema convenzionale di segni o comunque indecifrabile: «insieme attraversare / l’ultimo confine / annusando la scia misteriosa / esplorare la selva indicibile / sia essa eden o nihil  non importa».

 

Di seguito si riportano tre testi, rispettivamente da ognuna delle sezioni della raccolta: le origini l’andare, i lumi i cerchi e l’eponimo per segni accesi.

 

*

si fermano i vortici della notte  si compie il tempo
l’humus prende forma  imita materia d’alba
la morbida piega dei petali
sul petto approda l’arca  il bosco oscilla
e uno stormire basso  quasi un silenzio
permette all’utero l’ultima spinta
dev’essere pace intorno per il primo grido

così difficile e pure così gioioso
dire di un movimento che prima non c’era
e pure si predisponeva
con l’impercettibile forza del germoglio
un tendere misterioso del seme
verso un cielo che approva  che chiama
il piccolo corpo a muoversi sul ventre
inesorabile  verso la tepida scia bianca

 

*

quando le previsioni raggiungono
la massa critica
il quadro intero deflagra
si può agire ormai
solo per mani  stringendone infinite

sgomenti emergere dal fango
salvando i pochi semi superstiti
risalire i fianchi del vulcano
raccogliere lava lapilli
versare sul tavolo l’agglomerato
farne un totem fermacarte a fermare
tutto il caos che piove dalla fronte
il tremore sgomento dei neuroni
lo spin ha invertito il suo giro
matte spirali innescate
ribaltate gravità e latitudini
contratti i fili che fanno verticale la postura
così che siamo rovinati fino a terra
e sulle caviglie – erano alate –
sta colando resina vischiosa

prima che faccia notte
prima che la bambina impari a sillabare
………dobbiamo
ricomporre l’asse spezzato
liberare il volo  aprire
nuove misure all’orizzonte

non siamo nel mondo ma in un presentimento
navighiamo l’ignoto mare di odisseo
per moto impulsivo incontenibile
mentre il petto fibrilla di lampi
quali nodi premono segreti?
e ci esaltiamo lungo i meridiani
per ogni lingua viva  come bella s’accende
quando si contamina
e si esulta
nel riconoscere la madre in ogni terra
e fratelli su ogni terra uguali
mentre torri schiantano e ponti
deserti avanzano  s’inabissano rive

 

*

hai visto ieri quei fuochi d’artificio
………………ipnotici
sembravano nascere da
tagli improvvisi in una dark zone
un esplodere di segni
di colpo troncati da silenzio  nessuna eco

come ogni volta che muto ti avvicini
senza guardarmi senza la luce dell’attesa
un chiudersi di stanze un cadere nel buio
sentirmi parte di macerie

eppure è così che prende forma la terra
emerge – fuoco d’artificio –
da tutta la cieca materia dei detriti
muri crollati tendini recisi e
dalle foreste perdute  tronchi ossa piume
tutto farà humus
per il grano che germoglia per il pane
e l’incontro dei corpi  ancora
mitosi cicli lunari nascite

la terra sa come sorprendere
– fiduciosa tira fuori dal fango
un suo pezzo da mille – nuovo
dal mitico nome sapiens
gene-prodigio  già
fuori dalla barra  fuori dal menu
e non sappiamo quando e perché
qualcuno
…………..di nuovo premerà cancella

 

 

 

Annamaria Ferramosca è pugliese e vive a Roma, dove ha lavorato come biologa docente e ricercatrice, ricoprendo al contempo l’incarico di cultrice di Letteratura Italiana per alcuni anni presso l’Università RomaTre. Ha all’attivo collaborazioni con varie riviste e siti di poesia. Ha pubblicato: Andare per salti (Arcipelago itaca, 2017), Trittici – Il segno e la parola (DotcomPress, 2016), Ciclica (La Vita Felice, 2014), La poesia Anima Mundi (monografia a cura di Gianmario Lucini, con la silloge Canti della prossimità, puntoacapo, 2011), Other Signs, Other Circles – Selected Poems 1990-2008 (Chelsea Editions, di New York, 2009), Curve di livello (Marsilio, 2006), Paso Doble (coautrice la poetessa irlandese Anamaria Crowe Serrano, Empiria, 2006), Porte/Doors (Edizioni del Leone, 2002); Il versante vero (Fermenti, 1999). Sue poesie appaiono in antologie e sono state tradotte, oltre che in inglese, in rumeno, greco, francese, tedesco, spagnolo, albanese, arabo.

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