Il ciclo di Gabriel

di Gabriel Del Sarto

In greco antico ἀρχή  aveva il significato di “impresa”, “partenza”, “origine”, “fondazione” e poi, di conseguenza, quello di “comando”, “guida”. Oggi, 29 settembre, il calendario ricorda i tre arcangeli. L’arcangelo è quindi un principio, un inizio, che si fa messaggio. Non a caso uno dei tre è Gabriel, messaggero per antonomasia, nella tradizione cristiana e non solo.

A questa forma di parola “iniziatica” che, pur condannata per sua natura a non incarnarsi, circola tra gli umani, ho dedicato alcuni miei versi, che costituiscono la dorsale del mio ventennale lavoro poetico, confluito in “Tenere insieme”, la raccolta appena uscita per la Gialla di Pordenone/Samuele Editore. Riporto alcuni testi, scritti fra il 1996 e il 2019, che fanno parte della raccolta, in cui compare questo nome, la sua ombra e il suo senso.

 

A 3 km., Gabriel

Radiosa, quest’ora,
          e violenta di luce
dovresti (vorrei che tu..) vederla esplodere dall’albero
di Natale
ancora da disfare, e dallo striminzito presepe – piuttosto
la mia tristezza cresce, tristezza casalinga.
È quasi mezzanotte, anche a 3 chilometri da qui

e quest’ora no, quest’ora lo sai non è più
mite… le necessità, le cause di forza maggiore
hanno fatto andare a male il burro nel frigo, è scaduto
di qualità il mio poeta preferito e devo
stare attento al latte: le circostanze sono
fatte
così. Indecenti.

No, ti dico, è davvero questo lo scandalo
della vita: il sacrificio, la coatta fatica – eppure
tutto è come un soffio – se ti vuoi
salvare.
       Considera la saliva
la bava del vecchio Giobbe, l’ostinato che già ci predisse,
e considera le sue grida verso Dio: consegnandoci
cosa se non la più grande speranza,
quell’impensabile diritto alla disperazione?
                  L’angelo
Gabriel annunciando il Figlio dell’uomo, il bimbo (accorrete
o voi che ascoltate), l’arcangelo Gabriel splendente
di gloria andando
per strade piazze palazzi, Gabriel
ha portato il mio saluto a 3 chilometri da qui.

                   Aspetterò il sabato
pomeriggio, comprerò delle bibite:

immagina: noi colle amarene Fabbri sul gelato allo yogurt
mentre ripristiniamo scene bibliche.

 

IX

La violenza della luce sul parabrezza, il vento
della mattina sui viali e tutta la morte
di questo tempo fra noi: ascolto le onde
di una stazione FM nel vuoto
delle cose. È sabato, posso restare
in attesa, avere fame, un lavoro flessibile,
le dolcissime politiche comunitarie, e posso
consumare prima di altre invasioni
della storia.
         È sabato
e dovunque e comunque,
in ogni stagione creata,
nei cristalli liquidi degli schermi,
negli scaffali, nei corridoi lineari
e piastrellati dei supermercati
e degli ospedali, nei manuali colorati,
tutto è un montaggio perfetto
         e le ore sono quiete
come profondamente gli oggetti,
e il mondo scorre fianco a me, mentre
guido verso casa – oppure
ora il sole è come su questo
violento e deserto presepe estivo
sopra il quale l’angelo smagrito Gabriel
annuncia qualcosa piangendo
alla polvere che si leva ai lati del viale
in una fiamma improvvisa, ossidrica.

 

Hitler

Buia quest’ora,
          e violenta di fame: lo zero che si muove
di solitudine e estinzione
è il vero rapporto dell’uomo con la vita: non ha senso
ascoltare gli altri. Gli angeli
da sempre lontani e duri, aprono debolezze,
sanno che l’ospite
severo ama solo i folli
e i presenti a se stessi. Chiedono uno spessore
che non si trova.
         Tutte le porte
restano aperte, la luce del frigo
nella notte disidratata filtra nella
stanza, vedo il latte, la vita è un alito
dalla gola del leone.
Ed anche tu, amore per il nome,
nata più volte dalla mano, saprai
che Gabriel non è più competente a dire,
angelo muto che sussurra il destino. Un vecchio
ci segnerà – poi lentamente noi
saremo nuovamente Hitler, mattone simmetrico
e logico di tutto, madre di ciò che precipita
doloroso nel mondo con una sua purezza, intatta
per quanto vuota. Saremo incapaci
di vedere in noi il seme
              opposto che germoglia.

 

Esame dell’angelo (parte sesta)

Il mondo accade dentro le scritture
vegetali, lungo la rugginosa
erica o le foglie d’aprile, lette
prima del congedo, amate nei giorni
pensati. È un incendio sul mare
visto da lontano, una cosa piana
della Terra, un padre e le sue chiavi
di luce – orli illuminati del volto
di Gabriel, nel giorno pacato e facile
della sua fine. Le forze si muovono
nella città, la logica fredda del nucleo
per i grandi spazi commossi, e siamo
o non siamo solo un consenso, un patto
che riunisce e disperde. E non consola.

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