Quando i morti arrivavano nelle nostre case e si faceva letteratura

Daniele Giustolisi

C’è stata una stagione irripetibile, un momento in cui la vita ha avuto una precisa corrispondenza con la morte. Valeva tanto per noi bambini, quanto per gli adulti che ci stavano attorno. Tutti eravamo coinvolti nel “giorno dei morti”. Lo era il paese dei miei nonni, Castelmola, un borgo siciliano quasi a strapiombo sul mare, sopra la più rinomata Taormina. Un villaggio che nei mesi più freddi poteva somigliare a una di quelle comunità rurali ultra-cattoliche, a ridosso dell’oceano, tipiche di certi film di Tim Burton. Negozi chiusi, case antiche, qualche gatto per strada e una vecchia vedova che ti scruta dalla finestra. E invece non siamo a Sleepy Hollow ma a una manciata di chilometri dall’Etna. Possiamo vedere qualche castello normanno diroccato, lo stretto di Messina. È qui il noir della vita.

Si arrivava dalla città, dalla Catania-Messina, che a me è sempre sembrata l’autostrada più bella, nonostante tutto. A sinistra il vulcano innevato, in una bellissima giornata di sole, e a destra il mar Ionio e gli uliveti. Approdavamo sempre in questo eterno sabato, che era il 31 ottobre. Non era sbarcato ancora Halloween, ed eravamo lontani dal nord. Siamo stati l’ultima generazione ad ascoltare “i cunti” degli anziani. E questa per noi si è chiamata fortuna, o salvezza.

Trovavamo già tutto il paese all’opera. Fin dal pomeriggio era tutto un viavai dal borgo al cimitero, che distava una manciata di tornanti più in giù. Un lavorìo indefesso e continuo che si manifestava tra le varie terrazze del camposanto, come si chiamava un tempo, secondo dei rituali incontrovertibili e ossessivi. Il ricambio dell’acqua, i fiori, e soprattutto le lucine. C’era questa cosa di far incorniciare le lapidi con delle lucine, tipo quelle natalizie, che di colpo trasformava il mortuario in una bizzarra festa. C’è stato anche questo momento, me lo ricordo, in cui il luttuoso ha avuto il controvolto delle favola.

Poi riprendevamo la salita, verso casa. Erano le sei ma poteva essere già mezzanotte. E più si saliva e più la nebbia aumentava, come per Nicole Kidman in The Others. Lei tenta di andare via dalla casa che crede infestata dai fantasmi, per cercare aiuto, ma più si allontana e più cala la nebbia sempre fitta perché, questo è il colpo di genio che si svela nel finale del film, è lei il fantasma non gli altri, e una volta morta, lei, la Kidman, non può più tornare alla vita di prima.

Sarà; ma noi bambini, stasera, ci aspettiamo proprio questo. Ci aspettiamo che loro, i morti, ritornino ancora una volta nel cuore della notte per lasciarci i doni. Il prodigio si ripeterà come sempre, ce lo hanno detto i nostri genitori. Altro che dolcetto o scherzetto. Qui siamo dalle parti di Stephen King o Edgar Allan Poe.

Poi la sera tutti a letto. Lenzuola freddissime, la borsa d’acqua calda, lo spazzolino che manca: le case estive non saranno mai pronte a fronteggiare l’inverno. Poi l’inizio dell’attesa. Sarebbero passati dalla finestra del soggiorno per lasciarci i doni, nella notte. E infatti l’indomani puntualmente era accaduto. I morti erano arrivati. Ci precipitavamo subito in salone a vedere non i doni ma se qualche loro traccia era rimasta. L’odore di caffé, la finestra scenograficamente lasciata socchiusa, i doni a terra, il venditore di castagne che urla. Così si faceva la letteratura e il cinema nelle nostre case.

Oggi, che molto tempo è passato, sono ritornato in quella casa. La finestra c’è ancora ma è rimasta chiusa. La nebbia si è diradata e i bambini corrono troppo felici per le strade a rivendicare dolci zuccheratissimi che non sono le “ossa di morto” che davano a noi. Biscotti durissimi e inaddentabili. La morte è sparita, i morti pure. Sono rimasti in un cimitero senza lucine.

Poi però mi ricordo meglio il finale di The Others. Perché dopo quella terribile consapevolezza (sono lei e i suoi figli a essere morti, non gli altri), Nicole Kidman decide di rimanere proprio in quella casa, costringendo gli altri, i vivi, ad andarsene. Forse è questo quello che ci è successo. Ce ne siamo andati noi, definitivamente, da quel tempo, da quella stagione. Abbiamo abbandonato la visione e certe sue verità che non trovano più posto nella realtà. Non ci abbiamo più creduto. E invece loro, i morti. Loro sì che sono rimasti.

 

 

Back to Top