Bestiario delle emozioni

di Francesco Cangioli

Bestia duecentosedicesima

La Resa ansima come un mantice, il cuore le martella le costole. Ha corso troppo a lungo e ora traballa sulle zampe malferme.
La cima della montagna è sfocata, gli alberi che ha di fronte si sdoppiano e danno vita a una foresta lattescente. Fra poco sarà del tutto cieca e forse sverrà.
I lupi ululano, il vento trasporta le loro voci: è questione di attimi, presto le saranno addosso. Correre non serve più, non basterà a salvarle la vita.
Si accuccia, appoggia il mento a terra e un ciuffo d’erba le solletica il naso. Starnutisce, si raggomitola su di sé e si guarda intorno: gli alberi sono tornati al loro posto, la vetta del monte si staglia nitida sul cielo terso.
Gli ululati si avvicinano e qualcosa le si sdraia di fianco: il Dolore l’ha raggiunta. Va bene così, le terrà compagnia per il tempo che le resta da vivere. La Resa chiude gli occhi. La sua lotta, ormai, è conclusa. Il vento le accarezza la schiena e il profumo della resina le riempie le narici. C’è pace in quest’ultimo istante.

Bestia duecentodiciassettesima

La Familiarità veglia di fronte al camino. La coda le forma un cerchio attorno al corpo rotondo e sfiora, con la punta, le sue labbra rosate, che sembrano sorridere. La fiamma balugina e le tinge il pelo bruno di riflessi arancioni.
La bestiola si alza in piedi, inarca la schiena e allunga le zampe per stirarsi, infine attraversa la stanza. Va verso la cucina a occhi chiusi: non ha bisogno di guardare, conosce bene ogni centimetro di casa. Scompare nel vano della porta, ma tornerà fra poco, come al solito. Finché è vicina, un tepore confortante s’irradia tutto intorno.

Bestia ducentodiciottesima

La Pedanteria sfrega tra loro i pungoli acuminati che ha in cima alle zampe e stringe gli occhietti: un castoro ha appena deposto un altro ramoscello sulla diga che sta costruendo, ma l’inclinazione è sbagliata. Lei stride, gli conficca un pungolo in un fianco e allunga il collo serpentino sull’intreccio dei legni. Infilza il ramoscello incriminato e lo ruota appena. Stride ancora in tono di rimprovero e indietreggia di un passo.
Come fidarsi di chi commette certi errori? Studia la fitta architettura di rami, tronchi, pietre e fango, fa scattare le zampe e corregge incastri, appoggi, equilibri. Un pezzo alla volta, un dettaglio alla volta. Così il castoro vedrà e imparerà, forse.
Cric, uno scricchiolio si leva dalla catasta. La diga crolla e un’onda si abbatte sulla testa della Pedanteria, che tende il collo fuori dall’acqua per prendere fiato.
Il castoro, in piedi sulla riva, le volta le spalle e se ne va. Aveva ragione lui: una diga è più della somma dei suoi ramoscelli. Lei, che ci vede così bene, è stata cieca.

Bestia duecentodiciannovesima

La Gelosia veglia sul boschetto in cui riposa, protetta dal caldo incavo di una quercia, l’Intimità. Ruota gli occhi telescopici in ogni direzione, cammina in cerchio attorno agli arbusti e scopre le zanne. Sembra tutto in ordine, così si accuccia sull’erba per riposare.
Un piccolo gruppo di creature amiche si addentra nella boscaglia. Senz’altro il Pudore le lascerà passare e lei non le attaccherà: non rappresentano un pericolo. La Gelosia rinfodera gli artigli e si lecca una zampa.

Bestia duecentoventesima

La Lunaticità è una lucciola di vetro che riflette il chiarore della luna. Più essa brilla, più l’insetto rifulge nei campi tenebrosi. Se la luna è ridotta a uno spicchio, la bestiola si alza in volo a fatica e balugina fioca tra gli steli neri. Nelle notti di plenilunio, la Lunaticità risplende come un piccolo sole ed emette uno sfrigolio che la fa assomigliare a una lampadina sul punto di esplodere. A volte, in effetti, scoppia. Poi, però, il ciclo della luna ricomincia e i frammenti scivolano nell’erba, superano zolle e formicai e si ricongiungono. Allora la lucciola di vetro, pallida, si alza di nuovo in volo.

 

Immagine in evidenza: foto istock

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