La scrittura terapeutica: facciamo chiarezza (con un consiglio di lettura)

di Francesco Cangioli

La scrittura come strumento

Più di un anno fa lessi, in un articolo online, una critica niente affatto velata nei confronti della scrittura terapeutica, tacciata di strumentalizzare, col suo stesso definirsi “terapeutica”, una funzione intrinseca a ogni tipo di scrittura, che è in sé maieutica nella misura in cui è il risultato di un processo creativo che mobilita le risorse interiori di chi scrive.

È vero che ogni atto creativo, scrittura compresa, implica l’espressione di contenuti, di visioni del mondo e/o di risorse intimamente personali da parte dell’autore/demiurgo. È vero anche che la scrittura terapeutica rappresenta una strumentalizzazione, ma questo è un male?

Niente affatto.

Strumentalizzare significa, letteralmente parlando, “rendere strumento”, ed è innegabile che, nel contesto delle molte scritture terapeutiche esistenti, la scrittura si faccia strumento. Questo non costituisce un disvalore, è piuttosto il meccanismo chiave che permette allo scrivere di rendersi compiutamente esplorativo, formativo ed evolutivo. Niente di dissimile da ciò che accade nella musicoterapia o nella danzaterapia: si potrebbe infatti negare che la musica e la danza abbiano in sé, come forme di espressione artistica, potenziali valenze terapeutiche? E tuttavia sono soltanto lo studio e la conseguente strumentalizzazione della loro intrinseca valenza curativa – dove per cura s’intende l’epimèleia greca, cioè un insieme di pratiche volte alla cura di sé, e non la terapia in senso medico – a rendere possibile l’esistenza di apparati teorici e metodologici che utilizzano musica e danza come vettori di benessere bio-psico-sociale, rinunciando alle finalità estetiche tipiche, per esempio, dell’opera o del balletto.

Pennebaker e la scrittura espressiva

Negli ultimi decenni la scienza ha studiato e ampiamente convalidato la scrittura come strumento terapeutico. Già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso James Whiting Pennebaker, psicologo e sociologo, ha condotto numerosi studi nell’ambito della psico-neuro-immunologia. Insieme ai suoi collaboratori ha provato come l’uso della scrittura espressiva da parte di soggetti che dovevano elaborare un evento traumatico producesse, oltre agli effetti percepiti in termini di maggiore benessere emotivo, un incremento della funzione immunitaria che risultava conservato anche a distanza di sei settimane dalle sessioni di scrittura (Pennebaker, Smyth, 2017).

La scrittura terapeutica in Italia

La scrittura terapeutica in tutte le sue declinazioni ha così un posto pienamente meritato nel novero delle artiterapie. Essa può preludere, certo, alla scrittura creativa, situandosi lungo il medesimo continuum e potendo rappresentare il punto di partenza per una scrittura rivolta a un pubblico di lettori, sia essa poetica o, come dimostra la Scrittura Auto-creativa® ideata da Gabriele Zen (2016), narrativa, ma al tempo stesso possiede delle caratteristiche specifiche che la rendono un terreno a sé stante, sfaccettato e complesso.

Seppure con qualche ritardo sul mondo anglosassone, anche in casa nostra si è iniziato a respirare, negli ultimi anni, un clima più propizio per la scrittura terapeutica. Senz’altro Duccio Demetrio ha fatto moltissimo per diffondere la cultura dell’autobiografia in Italia: la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, che egli ha fondato insieme a Saverio Tutino, rappresenta un punto di riferimento prezioso per chiunque voglia formarsi in quest’ambito. Sempre nel solco della scrittura autobiografica si sono mossi altri studiosi che hanno sistematizzato approcci di particolare interesse. Tra di essi spicca il nome di Sonia Scarpante.

Il lavoro di Sonia Scarpante

Sonia Scarpante, architetto, scrittrice e counselor, da più di vent’anni si dedica all’esplorazione della scrittura terapeutica. Il Metodo Scarpante®, da lei ideato e utilizzato come approccio alla cura e allo sviluppo personale, ha per capisaldi la scrittura autobiografica e la forma epistolare. Il lungo percorso che ha portato alla sua formalizzazione, avviato da un’esperienza di malattia e dunque da una sperimentazione diretta dei benefici arrecati dalla scrittura, è stato raccontato dall’autrice in numerosi libri. L’ultimo, pubblicato quest’anno con TS Edizioni,  si contraddistingue per un importante cambio di registro: mentre nelle opere precedenti la Scarpante si muoveva fra l’autobiografia e il saggio divulgativo, in “Pensa, scrivi, vivi. Il potere della scrittura terapeutica” rivolge una lunga apostrofe al lettore, ponendosi come voce-guida che accompagna per via, forte dell’esperienza maturata in oltre un ventennio, chi desideri provare sulla propria pelle gli effetti di una scrittura svincolata da qualsiasi proposito letterario, completamente tesa alla ricerca di un benessere rinnovato tramite l’espressione di sé.

L’attenzione ai dettagli e il potente valore simbolico di ogni elemento coinvolto in questo processo sono evidenti fin dalle prime pagine: dopo la sentita prefazione di Eugenio Borgna, gigante della psichiatria italiana, che ci ricorda, riprendendo Hugo von Hofmannshtal, come le parole siano “creature viventi”, la Scarpante ci invita a scegliere con cura persino la penna e il quaderno che utilizzeremo, affinché possano corrisponderci.

“Ti chiedo di […] scegliere, per questo viaggio sulle ali della scrittura terapeutica, una penna che sia in linea con il tuo modo di essere; a volte panciuta e robusta, altre volte smilza e morbida al tatto. Sceglila fra tante e sentila come l’alleata che a tratti consumerà le tue forze e a tratti ti renderà audace.”

Il viaggio che segue, accompagnato dagli elaborati di chi ha frequentato master e workshop di scrittura terapeutica, si articola in input di scrittura costituiti da temi universali – come la casa, lo sconosciuto, le emozioni –  e da interlocutori affettivamente significativi ai quali rivolgere delle lettere, andando in cerca di quei nodi che in un modo o nell’altro intralciano il fluire delle nostre esistenze. L’obiettivo è quello di rivisitare la propria storia per scriverne una nuova, vestendo al contempo, com’è caratteristico della scrittura autobiografica, i duplici panni di autori e protagonisti, di narratori e personaggi, e costruendo un ponte fra il non detto e il dicibile.

Anche il silenzio ha un ruolo di spicco. Del resto, come già scriveva Romano Guardini (1972), “chi non fa che parlare non si possiede realmente”, ma “scivola via di continuo da se stesso”. E poiché la scrittura terapeutica è riappropriazione di sé, il silenzio è indispensabile per praticarla in modo proficuo.

“[…] il silenzio deve tessere le sue trame, come un alleato che s’incunea con finezza fra le vicende della vita e salva dal baratro, tiene insieme e trasforma.”

Il libro di Sonia Scarpante rappresenta una valida bussola per muovere i primi passi nel dominio della scrittura terapeutica e sviluppare un allenamento all’autoascolto e alla cura di sé attraverso la parola, scoprendo così come la scrittura possa assomigliare al cavo di un apneista che prima ci conduce nell’abisso e poi ci riporta in superficie, più ricchi e più consapevoli.

 

Sonia Scarpante

 

 

 

Bibliografia:

  • Guardini R. (1972), Virtù, Morcelliana, Milano.
  • Pennebaker J.W., Smyth J.M. (2017), Il potere della scrittura, Tecniche Nuove, Milano.
  • Scarpante S. (2022), Pensa, scrivi, vivi. Il potere della scrittura terapeutica, TS, Milano.
  • Zen G. (2016), Manuale di scrittura autocreativa, Industria&Letteratura, Massa.

 

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