Bestiario delle emozioni

di Francesco Cangioli

Bestia centocinquantunesima

L’Astuzia si aggira in un intrico di radici contorte. Le mangrovie allungano le loro propaggini in un labirinto mortale: quando il mare si gonfierà fino a sommergerle, le bestie intrappolate nel dedalo legnoso non potranno che annegare.
Ma l’Astuzia ha il corpo sottile e il passo svelto: non resterà prigioniera. La giungla è un rompicapo che non la spaventa.
Scivola nel viluppo con l’agilità di un serpente.
Sarà presto altrove.

Bestia centocinquantaduesima

L’Intenzione e l’Azione sono due teste di una sola bestia. La prima sporge dal culmine della lunga coda serpeggiante e sussurra parole segrete nelle orecchie della seconda.
Chi osserva la bestia avendola di fronte non scorge  l’Intenzione dietro l’Azione, e intuisce le trame della testa posteriore solo dai movimenti di quella anteriore. Se le due sono in accordo, la creatura avanza risoluta verso l’obiettivo, con le zampe ben salde e le ali pronte a spiccare il volo.
A volte, però, l’Azione imbocca strade invise all’Intenzione, e allora il suo passo si fa incerto, traballante come quello di un ubriaco. Accade persino che le due teste tirino con forza il corpo in direzioni opposte, col risultato che esso rimane del tutto immobile.
Vi è infine un caso particolare, quello in cui l’Intenzione è malevola: l’Azione si sforza di tenerla nascosta, ma di rado ci riesce, perché la lingua biforcuta della testa posteriore guizza violacea dietro di lei.

Bestia centocinquantatreesima

Il Delirio affonda le zampe a forma di radice nelle paludi dell’Inconscio. Assorbe le immagini che strisciano come ombre nell’acqua torbida e avanza attraverso una foschia densa.
Le estremità imbevute di melma si fanno sempre più pesanti e il Delirio rallenta il passo fino ad arrestarsi del tutto. Il liquido scuro gli risale le radici ed evapora in un gas stordente, che gli si accumula nella testa molle e preme contro le pareti del cranio. Quest’ultimo si dilata come un palloncino e la testa si fa leggera, abbandona il corpo e si libra in volo, oltre la cortina di nubi che sovrastano l’acquitrino. Solo un filo tiene la testa attaccata al tronco.
La Critica e l’Esperienza afferrano i fianchi del Delirio e cercano di spingerlo via dalle paludi, ma lui resta fermo, inamovibile: il suo corpo è pesante, le sue radici sono ben salde nella melma.
Gli occhi gli si appannano d’ombra, tutta quella che ha assorbito, e la testa gli gira.
Sotto le nuvole non c’è alcun senso. Proverà a trovarlo lassù, dove tutto è rarefatto.

Bestia centocinquantaquattresima

La Meteoropatia è una Mestizia mannara.
Il sole intiepidisce i pascoli e la bestia balza energica sull’erba soffice. Strappa coi denti un ciuffo d’erba e lo mastica: è morbido e succoso. Emette un bramito di piacere e si rotola per terra. Tutto è magnifico.
Un drappo di nuvole grigie copre il sole: arriverà una tempesta.
La Meteoropatia trema, il pelo le cade a ciocche.
Un’ape decolla da un fiore vicino alla sua testa ed emette un ronzio insopportabile, che si amplifica nelle orecchie della Meteoropatia e le fa battere i denti.
Un freddo glaciale le si allarga a macchia d’olio dal petto all’addome, raggiunge le zampe e la schiena, le permea ogni muscolo, ogni osso.
Le prime gocce d’acqua le bagnano il muso e la pancia. Lei si rattrappisce, si ripiega su di sé e geme. La pioggia la colpisce senza tregua e senza pietà, la riduce a un gomitolo di tristezza.
Poggia gli zoccoli a terra per rialzarsi, ma non ha forza. Si abbandona alla tempesta e si scioglie in una pozzanghera sporca.
Il sole squarcia le nuvole e libera un brandello d’azzurro.
La Meteoropatia si condensa, torna solida a poco a poco. Un calore piacevole restituisce densità ai suoi muscoli.
Il processo si è invertito: ben presto tornerà come prima. Almeno fino alla prossima tempesta.

Bestia centocinquantacinquesima

L’Impotenza sguscia fuori dal grembo di un’Azione improduttiva, che si spreme il cordone ombelicale per infonderle sangue e sfiducia.
Un’ombra titanica si allarga sulla bestiolina neonata: la zampa della Fatalità, una colonna rivestita di scaglie, cala su di lei dal cielo ferrigno.
L’Impotenza trema e non può far altro: non ha muscoli né ossa, è un corpo molle in balia del gigante. Tutto si fa tenebra. Lei chiude gli occhi e attende l’impatto.
Un tepore inaspettato le giunge da sinistra. Apre gli occhi: il Desiderio arde e si tende in cerca di luce vicino a lei. Le lambisce la pelle con lingue di fiamma e si gonfia.
L’Impotenza si scuote, stringe i denti e si contrae. Attinge al calore del Desiderio, rifiuta di essere schiacciata.
Il suo corpo si muove, striscia di lato con lentezza, ma non è più inerte. Inspira a fondo, si contrae, si allunga e scivola un altro po’ in mezzo all’erba.
La zampa della Fatalità si abbatte al suolo con un fragore di tuono.
L’ha mancata per un pelo.

 

(Immagine in evidenza: Tommaso Spazzini Villa, Senza titolo – Polittico [Radice], 2019, matita su carta, 220 x 650 cm)

 

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